Ay oh whey oh, ay oh whey oh
Walk like an Egyptian
Walk like an Egyptian"
Cari amici golosi, bentornati nella rubrica che, come un vescovo col suo chierichetto, Cristina Parodi vorrebbe avere tutta per se: In Cucina con IdiosincrasiAlterata.
Presentiamo oggi una ricetta che ha dato tanta soddisfazione a Zio Cleto durante il suo ultimo bar mitzvah: La Parmigiana Imperdonabile.
Prendete quattro belle melanzane panciute e riempitele di complimenti. Una volta che saranno gratificate, tradite la loro fiducia affettandole ben bene e friggetele in olio bollente con la crudeltà di cui solo la mascella dell’avvocato Galoppa sarebbe capace.Nel frattempo, col sudore della vostra fronte, avrete già provveduto a preparare un bel sughetto gustoso (nel senso che dovete proprio metterci il vostro sudore dentro, per dare quel tipico sapore di uomo dopo sei ore di palestra che piace tanto alle donne obese). Ora, dopo esservi procurati una teglia spaziosa, procedete con fare gli strati: prima il sugo, poi le melanzane crudelmente fritte, poi una bella fettona di prosciutto di yak, una spolverata di parmigiano di montone, caramelle mou, asparagi, acqua ossigenata, uno spruzzo di red bull e un’oliva. E poi ripetete il procedimento fin quando la teglia non sarà ricolma. Cuocete il tutto per 7 giorni e 7 notti presso la fornace del Monte Fato. Una volta che La Parmigiana Imperdonabile sarà pronta tagliatela in venti parti uguali, dandone 3 ai re degli elfi, 7 ai principi dei nani, 9 agli uomini mortali, e un pezzo tenetelo per voi come vostro tesoro. Buon Appetito!
Finalmente è finita. No, non parlo degli interminabili pranzi natalizi, o della notte di Capodanno con i suoi raudi e miccette fino alle sei di mattina. Né di Anna Falchi che lascia il suo Danny Montesi per il nipote di Vespa, o di Barbara D’Urso investita da un camion (in tal caso avrei esultato).
Io sono qui per celebrare la fine della tortura per le mie orecchie da parte di una canzone che ci ammorba ogni anno da almeno vent’anni in ogni casa o negozio in cui ci rechiamo, dal primo di dicembre al primo di gennaio. Canzone riconoscibilissima dall’intro con le campane e dalla voce calda e sbarazzina di quell’aborto di donna (nella foto, colta da un attacco di diarrea) con i seni così separati e flosci da finire sotto le ascelle e che nonostante questo si spara pose da sex symbol. Canzone che recita queste originalissime parole (tradotte): “Tutto quello che voglio per Nataleeeee sei tuuuuu, piccoloooooo”. Canzone che mia madre mette a ripetizione nello stereo da quando ho otto anni ogni mattina, per farmi sentire “ l’atmosfera natalizia”. Va bene un giorno o due. Ma al terzo, soprattutto se questo coincide con la sera che ho dipinto le pareti della mia città di bile e alcool, proprio no! Quindi figuriamoci se la cosa va avanti per un mese.
Fuggirle è impossibile: è ovunque.
Auguro quindi alla maledetta autrice di questo scempio, che una bestia di dimensioni chtuliane espleti i suoi mastodontici bisogni nella di lei cavità orale, cosicché le sue corde vocali siano compromesse per sempre. In alternativa almeno una jam-session interminabile in una stanza insonorizzata con Giuliano Sangiorgi. O del Bunga Bunga con Sandro Bondi.
In attesa che le mie preghiere siano esaudite, buon anno in ritardo a tutti.